Da una parte quel manipolo (una decina) di coraggiosi che mette gli sci e attraversa la bufera, con rischio valanghe e congelamenti, a notte fonda per raggiungere Rigopiano: il Resort della morte, nel comune di Farindola (Abruzzo). Dall’altra gli elicotteri (3) chiusi nell’hangar di un campo di volo e inutilizzati perché non si capisce bene a chi appartengano: Guardia forestale? Carabinieri? Vigili del fuoco? La chiamata in Prefettura a Pescara e la riposta quasi seccata dell’operatore. Il cuore da una parte e l’arida e asettica burocrazia dall’altra. Questa la differenza. Con in mezzo una trentina di dispersi, chiamiamoli ancora così. Ora infuriano le polemiche: la Protezione civile depotenziata dopo l’era Bertolaso; la mancata chiarezza sul potere di comando tra il commissario Errani e il capo della Protezione civile Curcio; l’aver costruito il resort ai piedi di un canalone; l’abuso edilizio da cui sono usciti indenni sindaco e vice del tempo; e poi e poi. Intanto, chi può scava, urla per farsi sentire da quanti potrebbero ancora sopravvivere sotto 4/5 metri di neve e calcinacci. Angoscia, speranza, paura. E alcune domande, specie dopo la spettacolarizzazione della tragedia in onda iersera in televisione (tutte): Che cosa abbiamo imparato dalle catastrofi di oggi e di ieri? È stato tutto terribilmente vano? E domani: saremo di nuovo uno contro l’altro? Oppure, dinanzi alla natura scatenata e in trasformazioni, trasformeremo anche noi stessi?
di Adolfo Leoni