Sono stati in centinaia delle zone del fermano, tra gli oltre 14.000 obiettori di coscienza condannati e per quasi 10.000 anni di reclusione. È questo il clamoroso risultato di un recentissimo sondaggio realizzato fra i Testimoni di Geova italiani, su quanti di loro hanno pagato il rifiuto alle armi e quanto sia costata loro questa decisione.
I Testimoni di Geova hanno sempre ritenuto il servizio militare incompatibile con la loro religione. Secondo uno studio, basato sulle testimonianze di chi ha praticato l’obiezione di coscienza prima che questa fosse consentita dalla legge, è emerso che, tra i Testimoni di Geova italiani attualmente in vita, almeno 14.180 hanno dovuto scontare una condanna per aver rifiutato di prestare servizio militare, tra questi, come dicevamo, giovani provenienti da tutte le località delle Marche. Ciò avvenne in larga parte tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’90.
Abbiamo acquisito tre testimonianze di fermani che hanno voluto raccontare la loro storia durante il periodo di incarcerazione.
Samuele Bonifazi, detenuto per 8 mesi nel 1986: “Sono partito per il C.A.R di Pesaro il 22 aprile 1986 e lì ho ritrovato altri 6 compagni di fede, nel giro di una settimana siamo stati condotti al carcere militare di Forte Boccea. Dopo qualche giorno di isolamento (si fa per dire, eravamo in 12 ammassati nella stessa cella, sia detenuti militari che obiettori di coscienza), sono stato trasferito in un’altra in cui eravamo tutti Testimoni ad eccezione di un Maresciallo in attesa di giudizio. Appena entrato nella camerata mi è sembrata “il paradiso”, i miei compagni di fede la tenevano scrupolosamente pulita e ordinata e c’era perfino un mazzolino di fiori sul tavolo. Il momento per me più duro è stato nei giorni in cui sono stato detenuto nel Carcere Civile di La Spezia per il processo, questo a motivo delle difficili condizione igieniche e per il genere di detenuti reclusi. Il buon senso delle autorità carcerarie, comunque, non permetteva di far stare in contatto detenuti comuni e noi Testimoni. […] Tra i ricordi più belli del periodo di detenzione a Gaeta ci sono sicuramente gli stupendi discorsi che settimanalmente alcuni nostri fratelli di fede esterni venivano a pronunciarci, e di cui, a distanza di più di 34 anni, ricordo ancora alcuni aspetti, ed inoltre l’organizzazione del nostro congresso annuale dal tema “Pace Divina”, che abbiamo tenuto in carcere con tanto di podio costruito con scatoloni e fazzoletti della mensa colorati. Per quella occasione abbiamo anche avuto il permesso di recitare il Dramma biblico incentrato sulla vita di Giuseppe e di avere meravigliosi abiti in costume prestati da un congresso che si era appena svolto fuori. […] Sono stato scarcerato il 18 dicembre 1986 grazie ad una legge indulto.”
Franco Pistolesi, detenuto per 12 mesi tra il 1977 e il 1978: “Le mansioni assegnatemi sono state due : in cucina come lavapiatti per pochi giorni, per il resto del periodo detentivo ho svolto lavoro di contabilità in ufficio sotto la direttiva del Maresciallo Cobino. In quella circostanza ho avuto la possibilità di avvicinare e conoscere Walter Reder che era detenuto in un braccio del carcere adiacente al nostro. Walter Reder aveva preso parte allo sterminio di Marzabotto (La strage di Marzabotto fu compiuta dalle SS naziste durante la seconda guerra mondiale ai danni della popolazione civile, Walter Reder era il comandante in carica ndr.), era un tipo gioviale, ma non era interessato al messaggio della Bibbia. Il maresciallo Cobino ci apprezzava tanto che difficilmente ci negava qualsiasi cosa gli chiedevamo. Parlava bene di noi anche con gli altri militari. Quando ero nella “Sezione carcere giudiziario di Gaeta”, sono stato l’oggetto di vessazione di un detenuto comune, che apparteneva alla “mala” napoletana e se l’è presa con me. Mi ha incendiato la coperta mentre dormivo e, non contento, mentre eravamo tutti in refettorio mi ha scaraventato un gavettino di vino addosso. Sono rimasto impassibile e la mia non reazione al gesto palesemente provocatorio sembra abbia impressionato sia i detenuti amici del malavitoso che i caporali che erano presenti. Da quel momento non ci sono stati più attacchi vessatori nei miei confronti, anzi gli stessi che prima mi erano contro sono diventati amici, mi rispettavano e mi chiedevano consigli. Tutto questo è sicuramente merito degli insegnamenti biblici, non mio. Se avessi ascoltato il mio impulso avrei reagito.”
Gabriele Capriotti, detenuto per 36 mesi dal 1966 al 1969: “All’età di venti anni, nel momento più bello della vita, ho dovuto affrontare un problema molto difficile: il carcere. Sin da piccolo ho sempre amato il mio prossimo, ricordo poi che mio padre, avendo conosciuto la Bibbia dai Testimoni di Geova, mi leggeva il passo del Vangelo di Matteo, 22:39 “Devi amare il tuo prossimo come te stesso”. Crescendo non ho voluto indossare una divisa militare per non imparare a uccidere il prossimo. Per questo, dal 1966 al 1969, ho conosciuto molti penitenziari italiani. Molte cose mi spaventavano, ma sentivo sempre l’aiuto di Dio. Un momento di paura è stato quando mi hanno chiuso in una cella buia sul traghetto per attraversare lo stretto di Messina con le manette ai polsi. Pensavo: se il traghetto si trovasse in difficoltà, chi mi verrà ad aprire? Per essere determinato nella mia fede mi è capitato di stare in cella di isolamento per punizione per tre volte, per un totale di 3 mesi. La cella era piccola, 2,50 metri per 2,50 circa. Avevo per dormire un tavolaccio e una sola coperta dei militari. Si poteva a turno andare sopra la torre per un’ora di aria al giorno. Chiesi alla guardia una matita e qualche foglio di carta, questo mi ha consentito di disegnare i posti dove sono stato. In un viaggio verso Gaeta ho avuto un’esperienza che è rimasta sempre nella mia mente. Dopo aver sostato per tre giorni a Poggio Reale a Napoli, sono stato legato con manette a una lunga catena insieme ad altri 7 detenuti civili. Uno di questi disse che aveva ucciso diversi suoi parenti, mi spiegò che era una questione di onore! La notte dovevamo dormire nella stessa cella. Mi chiese che cosa avessi combinato per meritare di stare lì con loro. Quando gli spiegai che ero un obiettore di coscienza e che il mio “reato” consisteva nel non voler imparare ad uccidere il mio prossimo, lui sorridendo mi rispose: “Vedi ho ragione io, qualunque cosa fai ti puniscono: io sono qui perché ho ucciso, tu sei qui perché non lo vuoi fare. Come è strano questo mondo!” […] La parola Gaeta mi faceva tremare, era il terrore di tutti i militari ma io mi sono saputo adattare anche in questo brutto posto, cercando di avere sempre qualcosa da fare; così iniziai a dipingere dei quadri per i miei fratelli di fede. Tutti volevano farmi fare il ritratto della loro fidanzata, così avrebbero potuto fare un regalo originale una volta tornati a casa. Sono diventato così il pittore dei Testimoni di Geova. Anche il comandante del carcere ha voluto un ritratto e, contento del mio lavoro, mi ha fatto ritrarre anche la figlia. Come ricompensa ha stabilito che avessi tutto a mia disposizione un locale del carcere dove potevo dipingere e studiare, da solo o in compagnia.”
La posizione assunta dai Testimoni obiettori di coscienza colpì anche l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che nel 1983 scrisse: “Negli anni Sessanta, quando ero alla Difesa, volli rendermi conto del fenomeno, che andava moltiplicandosi, delle obiezioni militari di coscienza da parte di giovani appartenenti ai Testimoni di Geova. Mi colpì, parlando con loro uno a uno nel carcere di Forte Boccea, la evidente ispirazione religiosa e l’estraneità da qualsiasi speculazione politica; non a caso si sottoponevano ad anni di prigione continuando nel rifiuto di indossare la divisa”.
Anche il contributo di quegli obiettori spinse dunque le autorità ad approvare, dopo anni di discussioni e rinvii, una legge che sanciva nel 1998 il pieno riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Il servizio di leva obbligatorio venne poi sospeso nel 2005.