Appuntamento alle nove in Contrada Poggio di Santa Vittoria in Matenano. Potevo arrivare anche alle sei, perché Giulio Belleggia già da quell’ora lavorava sodo. Le mucche e i vitelli aspettano di prima mattina la pulizia della lettiera e il nuovo fieno. E se fossi arrivato qualche giorno prima avrei sorpreso Giulio ad aiutare la mucca fattrice a partorire il vitellino, aiutare il vitellino a tenersi sulle zampe fragili, porgere di traverso il biberon con il primo latte essenziale: il colostro.
L’azienda Belleggia alleva bovini di razza marchigiana, macella le carni e le vende nella macelleria di Monte Vidon Corrado dove opera la signora Monia, moglie di Giulio. Lui in campagna ci sta da sempre. Il padre Furio – «persona incredibilmente retta, onesta e saggia» dicono i vicini di casa – è stato mezzadro fino alla fine degli anni Cinquanta, poi ha acquistato un primo podere, ed un altro ed un altro ancora. Solidità contadina e amore per la terra. Giulio ha imparato presto il sacrificio dei campi ma anche la libertà del tempo. Non potrebbe fare l’impiegato o il dipendente.
Sulla facciata del capannone si legge “Oleificio”. Perché l’azienda si occupa anche di olio. Nei campi si scorgono 400 olivi: leccino, sargano, piantone di Falerone, frantoio muraiolo. Per ora la resa è di circa 15 quintali l’anno.
Dei 30 ettari che Giulio possiede alcuni appezzamenti sono dedicati a cereali, foraggio, favino. Orzo e grano crescono insieme, come nell’antichità Umbro-Picena. Il grano serve per una linea di pasta (la produzione è partita di recente) la cui etichetta è una specie di pergamena di color crema arrotolata ai lati. Buon gusto in tutti i sensi.
L’azienda possiede anche un frantoio per usi propri e per conto terzi. Quando il lavoro aumenta dà una mano anche Fabio, fratello di Giulio. Nella stagione della raccolta e spremitura delle olive arrivano due collaboratori stagionali. Il figlio Alessandro è ancora piccolo: frequenta la terza media, ma pensa di iscriversi ad Agraria per continuare la tradizione di casa Belleggia.
In questo periodo l’impegno di Giulio riguarda anche il bosco, la potatura, l’accatastamento della prima legna. A proposito del bosco di Contrada Poggio, c’è chi giura di avervi visto recentemente una lupa con due lupacchiotti.
La collina è incantevole. Nel mezzo, tra due querce ultra secolari, si staglia una «nocetta»: il piccolo capanno da caccia usato dai nobili primi proprietari del fondo. Superando numerosi alberi abbattuti dalla neve, cercando di non calpestare le prime primule e di identificare i merli, le poiane, le gazze e i tordi, arriviamo ad una specie di anfiteatro naturale. Belleggia vuole trasformarlo in un luogo di pic-nic con tavoloni e panche. Ma prima dovrà rivestire il capannone del frantoio. Lo farà di pietra per adattarlo all’ambiente.
Mentre risalgo in auto, Giulio si sposta verso la strada per raccogliere un sacchetto di plastica che il vento ha trasportato lì. Non sta bene.
Coltivare e custodire: mi sembra proprio il suo caso.
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