Dallo scorso fine settimana fino al 28 giugno, il chiostro di Sant’Agostino ad Ascoli ospita Armonie di pietra. Il paesaggio delle Marche nelle sculture di Giuliano Giuliani, seconda tappa, dopo quella romana al Parco Archeologico del Colosseo. Sculture dalle linee morbide e fluttuanti, proprio come le colline marchigiane che ne ispirano le forme, realizzate in travertino, la bianca pietra calcarea che è anche il simbolo del territorio ascolano.
Si tratta della seconda tappa a cura di Carlo Bachetti Doria, dopo quella romana al Parco Archeologico del Colosseo curata da Daniele Fortuna, di un percorso espositivo interamente dedicato alle sculture dell’artista ascolano Giuliano Giuliani.
Le opere di Giuliano Giuliani nascono e si plasmano nel travertino, una roccia sedimentaria calcarea indissolubilmente legata alla città di Ascoli Piceno: il travertino, infatti, costituisce l’essenza dei monti che abbracciano e proteggono la città, rivestendola come un’epidermide e stabilendone la fisionomia. Si tratta di una materia viva profondamente legata anche alla storia personale dello scultore: Giuliano Giuliani nasce infatti ad Ascoli Piceno e tutt’oggi opera là dove un tempo suo padre e suo zio diedero vita all’attività di famiglia, una cava a Colle San Marco, situata pochi chilometri sopra la città di Ascoli, che oggi si è trasformata in uno studio a cielo aperto, un luogo capace di raccontare in maniera diretta, oltre che il passato dell’artista, anche le origini delle sue opere.
Estraendola direttamente dal grembo delle Marche, l’artista lavora e trasforma la pietra in sculture dalle linee morbide e fluttuanti, traducendo in atto ciò che in realtà nella roccia è già in potenza. Il travertino, infatti, è definito dallo stesso Giuliani come una lavagna del tempo, forma e memoria del paesaggio. Le sculture di Giuliani rappresentano così veri e propri luoghi della sua terra: esprimono tratti formali e teorici che corrispondono al paesaggio – le dolci e sinuose colline marchigiane –, e alle caratteristiche immateriali della Regione, quell’interiorità che si esprime nel rigore del suo lavoro. Quello che ne viene fuori sono corpi pieni e compatti ma anche depressioni d’ombra che diventano parte integrante dell’espressività dell’opera: le armonie di pietra sono come rovine che l’artista – guidato dalla materia della sua terra e dal flusso del tempo – riporta alla luce ricercando le radici della civiltà e del nostro essere.
“Questa seconda tappa della mostra” – sottolinea l’assessore alla Cultura della Regione Marche, Chiara Biondi – “completa un percorso che ha portato Giuliani e le Marche in uno spazio importante come quello del Parco Archeologico del Colosseo. Si tratta di un’operazione culturale resa possibile dalla collaborazione fra città ed istituzioni. Le opere di Giuliani sono frutto di una ricerca profonda che da una materia dura e pesante come il travertino riesce ad estrarre linee e volumi di estrema delicatezza, che richiamano ad un’intimità che supera la materia. Proprio in queste forme e volumi c’è un’eco del nostro paesaggio. Ascoli e le Marche sono presenti in queste sculture non meno della cifra personale dell’artista”.
“Alleggerendo il travertino per trarne lastre sottili come una lama” – commenta Stefano Papetti direttore dei Musei Civici di Ascoli – “Giuliani riesce a mettere in evidenza l’anima della pietra, come se nel blocco da lavorare a forza di muscoli sia già presente una forma che lo scultore ha il compito di liberare. […] Come un antico anacoreta, Giuliani vive in un paesaggio lunare nel quale identifica la sua Tebaide, pronto a soffrire con gli altri e a farsi interprete attraverso le sue sculture dei dolori dell’umanità: le sue opere appaiono come preghiere rivolte al cielo e il suo pensiero, sospeso fra la terra e l’azzurro, aspira all’eternità”.
Presso il chiostro di Sant’Agostino ad Ascoli saranno esposte, in particolare, le ultime opere, recentissime e inedite, ispirate all’archeologia romana e realizzate dallo scultore in occasione della mostra presso il Parco del Colosseo. Tra queste, si distinguono “Condotta uno” e “Condotta due”: l’ispirazione e il titolo delle sculture fanno riferimento alla loro parte, forma tubolare che ricorda la fistula aquaria, capolavoro dell’ingegneria idraulica romana che permetteva la realizzazione di complesse reti idriche sotterranee. Cogliendo lo spunto dalle antiche condotte, Giuliani le trasforma da rigide geometrie in sinuose forme organiche, integrando la naturalezza della rotondità all’incisività dei tagli geometrici. E ancora “Oltre Q di Quadro”, risultato di un imprevisto che rivela le fragilità del travertino ma che lo scultore utilizza a suo favore utilizzandola la partecipazione della materia alla creazione dell’opera stessa. Poi Smerillo – gioco di parole tra il nome di un borgo marchigiano e l’azione di levigatura o finitura dell’opera – in cui la solidità della pietra è controbilanciata dalla leggerezza della forma. In “V Ranna”, mutuando un termine dialettale che significa grande, il paesaggio dei Sibillini è protagonista, in particolare il suo suono, a cui l’artista dà forma armonizzando l’eco tra i monti con i suoni della natura e degli abitanti del luogo.
“La caratteristica del mio lavoro è che si nutre di una diretta e personale manualità e di un fare per sottrazione dal blocco intero” – racconta Giuliano Giuliani – “l’uso del travertino, la più sacra tra le pietre, materiale arcaico e assoluto del mio lavoro, contribuisce a mantenere e inserire forme contemporanee in luoghi diversificati, sia in ambito archeologico sia in ambito urbano moderno. È un fare generato da una necessità di essenziale, un togliere il superfluo, “fare spazio” per lasciare il risultato: segno di definizione alla restante fragilità; senso di valore alla leggerezza; ovvero spiritualità”.